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MrKlein, 0

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MrKlein e lapochka_20_009 potrebbero essere una coppia perfetta!

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Italia, Roma

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Italiano

Il mio Blog (18):



Poi mi prese il prurito.
“Lascia che cada il foglio, dove sta scritto il nome. Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. E' un riflesso sull'acqua. Una bolla di sapone. E alla fine del libro non c'è spiegazione.” L’avevo abbandonata secoli prima in un albergo. Una delle donne più belle di questa terra. Soprattutto quando era conosciuta. Anni prima, fluttuava esperta, come una farfalla tra i campi d’estate nel futile spettacolo del nulla, frusciante e setosa. La ritrovavo, oggi, fuori di testa, mentre deponeva parole in una impenetrabile fonologia, dispersa tra gli ansiolitici. Espansa come un aerostato ancorato. Strappata da una adiposità impropria. Rattristata dalle rughe, appassita da una esistenza trucidata dalle sofferenze della vita. Un padre morto suicida, una madre prematuramente scomparsa per un cancro al cervello. Era sola. Ma eccoci qui, adesso. Lei con i suoi fantasmi che si erano materializzati tutti quanti e che avevano dato vita ad una festa invisibile, pronti a ballare ancora l’ultimo giro di danza. Dentro questa triste stanza in un pomeriggio malinconico e nostalgico. E c’erano tutti; imprenditori immorali, ex compagni appesantiti, amiche perniciose, colleghe senza talento e disillusi adescatori. Persino ammiratori di un tempo. La vita si sa, ti abbandona e non ti ricambia, mentre cerchi di ritrovare un tempo perduto e tutti gli inganni subiti. In quella camera ostruita da stampelle, vestiti sgraziati e locandine elegiache che la fotografavano sfolgorante e irraggiungibile voleva fare l’amore con me, tra gli avanzi di pizze ululate al telefono, mozziconi di sigarette rannicchiati sotto un tavolo, e un letto devastato. Imponendomelo! Meditando di rinvenire chissà cosa. Ma anche se avessi voluto esaudirla (cosmogonicamente sono fedele) sarebbe stato irrealizzabile. Si era usurata, deteriorata. Tutto questo sfondo tragico e conclusivo mi aveva depresso, inibito, strappato al sogno e rotolato nella vorticosa evidenza dell’appartenenza. Sfinita, si era accasciata oscena e catatonica su una poltrona, pronunciando la sua ultima battuta. “Klein… ti auguro… una vita felice!”. A quel punto ho pensato che la felicità per lei era solo un microscopico mezzo per ingannare la mente. Probabilmente perché ogni rimorso ha il suo coltello. La lama perfetta per spaccare un cuore. Sono rientrato a casa. Senza virilità. Le finestre semiaperte e una corrente effervescente erano lì, a dichiarare che non si ricomincia e che ricominciare a volte è solo un proseguire per andare più giù, sperando che prima o poi arrivi il cecchino giusto. Fuori ormai era buio. Avevo un incontro importante. Non ci sono andato. Ho spento il cellulare. Poi l’ho scagliato contro il muro. Una, due, tre volte. Tranquillamente. Fino a quando non si è frantumato tutto. Mi sono disteso sul divano. Ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato.
Postato Luned 01 Aprile 2019 - Ore 12:15 | Commenti (4)


CHIARO DI LUNA
“Che cos’è l’erba? Mi chiese un bambino portandomene a piene mani; come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che cosa sia”. Ho sognato. Distante. Lo chiamano l’abbaglio splendente. C’era l’oceano e una spiaggia. Una spiaggia di quelle in cui ti trovi guadato da una falda di sabbia e acqua amarognola. E sono lì, a guardare la palude, i granelli disegnati di bianco fra me e il mio respiro. C’è una poltiglia appiccicosa e liscia che mi copre le gambe, l’acqua è temperata; mi sdraio a ventre in giù, contemplando lo spazio e la sabbia canuta, e tutto rassomiglia ad una specchiera antica. Tutto è bagliore, bagliore e bagliore. E quiete. Nulla di anomalo. Fino a quando avverto la separazione, quella insopportabile quella che ti si insinua dentro, dalla locusta che stride, alle pagine di un libro che sfogli. Una crepa che mostra ciò che non esiste più. Bazzecole, futilità, sciocchezze. Il nulla, realmente. Quel nulla che vive se non all'interno di quei ricordi. Che cede e crolla, come la concrezione di una ferita, con quella epidermide tirata, affusolata, rosata, che se la sfiori è friabile. Malinconia, probabilmente. La scruti, la puoi accarezzare perché confeziona dolcezza, perché capisci che se la sfiori non provi più dolore, ma è corporea e sfuggi di torturare. Ho sognato. Mentre i giorni, i mesi, transitano, proteso sempre in quell’ amarognolo acquitrino residuo e bislungo che è la vita. Scottante, smettendo di allenarmi. Perché vi è bagliore e desiderio di osservare, di slacciare lo sguardo. Ho sognato. Sereno e sofferente, di una rilevanza indefinibile: come quando comprendi. Ecco che istantaneamente alcune cose adorate, certi superbi frammenti di un amore, le frasi, i suoni, i sospiri, i giuramenti, le chiamate, i simposi, i pranzi, gli spazi, i messaggi, le lingue intrecciate e bagnate, le angosce, le prese, i pianti, le astenie, le dita fredde; Roma, i libri, i profumi, le frottole, io, te, lui, divengono inezie. Non li senti, non li ometti, sono piccole pietre appuntite, abbandonate in uno scomparto che non apri più. E allora ho allentato le palpebre, snodando le sopracciglia come se uno schizzo di luce mi fosse penetrato nella pupilla, dilatandone la membrana oculare. Lo avverto con una trasparenza che non ho in nessuna occasione avvalorato. Circolarmente. Con i suoi numerosissimi riflessi proiettati, dove l’acqua dell’oceano e i granelli di sabbia sono di un bagliore sfolgorante, mentre io osservo la luce trattenermi il viso. Ho sognato. Esamino indiviso e privo di increspature la lucentezza di quella illusione onirica. Ma non è nemmeno questo. Perché non so descrivere bene quello che provo. Però, se dovessi dichiarare di che consistenza sono, mi estenderei nel Bleu. Pienamente, totalmente, universalmente nel bleu. Intimamente. E prosciugato.
Postato Mercoled 06 Marzo 2019 - Ore 14:59 | Commenti (2)


Il Canone di Pachelbel
“Quella notte mi resi conto di essere un cacciatore di parole. Ero nato per quello. Sarebbe stata la regola di stare con gli altri. Cosi non sarebbero morte del tutto le cose e le persone che avevo amato”. Mia nonna era una “blasonata”. La ricordo ancora anziana e sfarzosa, mentre da bambino mi portano nella sua casa a piazza Capo di Ferro e, nonostante il caldo opprimente e i cinque piani che dovevi fare a piedi per arrivare a casa sua, non ti offriva neppure un rivolo d’acqua. Anche quando lo chiedevi garbatamente. Ti guardava sorpresa con quel suo sorriso affascinante sentenziando che era meglio non bere, perché negli acquedotti utilizzavano l’arsenico e che le tubature erano solo veicoli di microrganismi in cui le pantegane ci sguazzavano. Così, imprigionato in quelle poltroncine di velours cremisi, orlate d’oro, agonizzavo interi pomeriggi domenicali all’auscultazione delle sue interminabili omelie postelegrafoniche. Mia nonna era persuasa che tutti, al mondo, derubassero il prossimo. Che tutti i suoi parenti volessero spazzolare via le sue sostanze. E poi c’era Carlo, il suo maggiordomo. Un novantenne italopartenopeo che ormeggiava mirabilmente tra il salone e le cucine e che quotidianamente ripeteva, anche il 15 di agosto, di accendere i riscaldamenti perché faceva freddo, Però ammetto che, madama la marchesa, riusciva ad impressionarmi con le sue stranezze raffinate, prendendo a prestito frasi di Flaubert o Stendhal. Citando Wilde o Baudelaire, filosofeggiando Schopenhauer. Oppure quando affermava che le donne non desideravano mai sapere come andava a finire una storia d’ammore, perché una volta iniziata non avevano mai intenzione di terminarla. La vegliarda aveva il suo fascino, fumando e bevendo infischiandosene di certe convenzioni, criticando il sistema e l’aristocrazia e certi pidocchi rifatti. Asserendo che Roma era un insediamento di cow boy, dove il ceto medio era solo ordinario, banale e grasso. Valeva anche per mio padre. Per lei, banale e borghese, visto che aveva condiviso la sua vita con una borghese. Solo ora, dopo moltissimi anni ho compreso che, in fondo, parlava così non perché era una snob del cazzo, ma perché per lei quella era la legge. La sua legge. Indiscutibile, scontata, ovvia. Lo statuto che le avevano trasposto da piccola. Chiusa in quel mondo antico, mentre pontificava all'interno della sua compostezza ampollosa, l’idea di rettitudine incominciava e si chiudeva con lei. Ed è attraverso questa sua trasposizione dell’irreale che io svestivo, con respirazioni improvvise, l’esistenza reale. L’esistenza del bambino che si mutuava. A volte irritandola perfidamente. Come quando le chiedevo di parlarmi del marito, mio nonno, che non avevo mai conosciuto. Incominciava a tremare. Quegli occhi vivi, verdi, si saturavano in gocce di pianto bistrato. E struggendosi come la Magnani, almanaccava sullo sposo defunto. Le mancava il marito e le mancava in tutti i sensi. E la svelleva questa lacerazione che non si era mai cicatrizzata. Consapevolmente, lucidamente, la usavo come un’arma per smantellarmi da quella uggiosa monotonia, per librarmi in volo dalla finestra verso la via, dove si intravedano tutti quei saloni intrappolati l’uno all'interno dell’altro e privi di ingresso, invidiando i miei coetanei che si divertivano a bucare le gomme delle macchine. Come era diverso il mondo. Disgiunto da milioni di epoche da ciò che dopo sarebbe divenuto. Una indivisa semplicità e una immediatezza che è andata a farsi fottere. E quando riguardo me stesso in quella abitazione è come se guardassi un estraneo. Un' altro tempo. Un’altra vita. Mia nonna morì per intossicazione acuta da acqua. Non andai al suo funerale. Non le avevo mai voluto bene. Dentro di me sapevo, inequivocabilmente, che per lei era la stessa cosa. Mi aveva accettato solo per dovere sociale. Come biensèances imponeva.
Postato Mercoled 20 Febbraio 2019 - Ore 13:40 | Commenti (3)


Il marchese La Fayette ritorna dall’America importando la rivoluzione e un cappe
Sabato sono andato al funerale di Riccardo. La chiesa era affollata. Familiari e compagni sopravvissuti. La bandiera, la sciabola, il capello rigido sulla bara. Il vescovo opaco nel suo officiare, senza una rilevante nota di condivisione. In fondo andarsene a novanta anni non è poi un evento così drammatico. Due giovani ragazzotti, in alta uniforme, inviati a leggere parole affettuose, ad affermare una percezione dell’esistenza, quasi sovrastante di chi ha vissuto con loro, testimoniando l’affetto e i valori che ha creduto di trasmettere. Come sempre sono arrivato in ritardo. Tartagliato nell’ abituale fenditura che ingoia e fa dissolvere ogni giro del mio tempo. Il vecchio si era sposato due volte (che coincidenza). La prima era morta in un incidente d’auto. L’ultima era mia zia. Morta pure lei, ma di cancro. La cassa è stata chiusa dentro una celletta, comperata tempo prima e messa vicino alla prima moglie. Mia zia, invece, un gradino più sopra, a destra. Mi sono guardato intorno e mi sono sentito vecchio con tutti e tra tutti i vecchi, mentre tutto si racchiudeva in una quiete, mentre trasparivamo indivisi e circostanti vicino quel feretro, con lo sguardo disperso di chi ha un’esistenza che non conosce il futuro. Perché il tutto, per origine, non fluisce mai. Il tutto quando è reale, resta li, con te in qualche posto. Tra un paio di giorni ci saranno i documenti, il notaio, il lascito, i congiunti diretti che occorre interpellare, i gioielli e l’anello di famiglia. Riccardo non aveva prole. Io invece si. Lui ha ultimato il suo dovere di essere umano al servizio dello stato al servizio del suo io. Dell’uomo sono rimaste cose superflue e qualche risparmio. Del soldato un copricapo ed una sciabola con l’impugnatura di madreperla. Di me rimarranno i miei figli che se vorranno, lasceranno altri figli, cose superflue e denari e pistole e fucili. Ed una sciabola con l’impugnatura di madreperla.
Postato Gioved 31 Gennaio 2019 - Ore 14:09 | Commenti (3)


La solitutdine dei numeri primi
Ho fatto un viaggio. Prima però ho vomitato. E’ sempre così quando inizio un viaggio, oppure quando vado in un posto. Un posto che fa umanità e dove tutti hanno una busta. Una busta di dolore, che persiste sleale, senza sospensioni. Senza recipienti abbastanza capaci per accogliere certe percezioni, sentendoti disperso mentre inclini la testa alla ricerca dei tuoi odori. Come consolazione di poter respirare in silenzio, tra le mattine bastonate, inseguendo il torpore dei sogni, in attesa di infilarti tra le ferite che chiudono il giorno. E’ sempre così quando inizio un viaggio oppure vado in un posto. Forse perché mi perdo nell’odore del sangue o in una domenica di gennaio, nel dolore degli altri. Come ci si perde in un pioppo dentro un eternità di agosto. Nell’erba bruciata dal sole. Fra le schegge dell’aria umida che divide i giorni e non esige movimenti. Solo giuramenti che nuotano a galla sulle quelle labbra strinate, mentre sei dappertutto e in nessun posto. Fino al momento in cui apri gli occhi e ammazzano un cristo, ritrovandoti in un corpo spini di riccio ed un serto di aghi. Tutto questo per un’eternità sterile, da ripetere ogni ora su questa terra e bruciare senza voce. Crudo di parole. Tutto questo finché il pulviscolo non ci dividerà, anche se non hai nemmeno quarant’anni e gli occhi belli senza il trucco. Oggi mi sono lavato nel sangue. Il sangue non sporca mai.
Postato Venerd 11 Gennaio 2019 - Ore 15:21 | Commenti (3)


Unplugged

 

La distrazione è la più grande invenzione dell’uomo per andare avanti. Per simulare quello che non siamo. Perfetti per questo pianeta. Avevo deciso di andare in vacanza. La scelta era ricaduta in un luogo dove i miei, abitualmente, passavano l’estate. Avevo, perfino, stabilito un topic su cui impegnarmi.  Aspiravo ad una ricerca intima, misurata. L’ho chiamata “Alla ricerca della misura perduta”. Da qui la predilezione di bandire feste inebrianti, fumi alterati, piste bianche, liquori scozzesi e donne socievoli (quest’ultime allontanate anche quando non sono in vacanza). Insomma solo il nulla eufuistico. Scabro sì, ma spirituale. Ma ecco che, giuda ballerino, appena arrivato a destinazione, potevo già sfiorare tutta la mia insufficienza. Incredulo come un calamaro steso al sole, davanti a me, un agglomerato di gitanti di moderna concezione, galleggiavano da una strada all’altra, vanagloriosi e grossolani, abbigliati da una uguale e circoscritta pienezza: la cafonaggine.  Tutta una competizione. Un campionato di serie B, ma pure di C1,C2 e Lega dilettanti, su chi conosceva questo, quello o quell'altro. Su chi bazzicava i locali più esclusivi. Un'arroganza, che alla mia età, non puoi più identificare come il sigillo del piacere. In conclusione avevo individuato tutta una disinvoltura di sballati da benzoilmetilecgonina che avevano da poco finito di segarsi con le mani. Una voracità da svago zotico, una calcolata percezione di burrascoso che non crea burrasche. Ma non è periodo da porsi interrogativi così inoltrati, dal momento che è una vita che faccio della mia mancanza di ideali, di passioni e via discorrendo, la mia più autorevole conoscenza intellettuale. Però non avendo mai rinunciato al trono dell’inviolabile percezione emotiva (apri le porte, chiudi le porte),  non ci ho pensato un istante.  Ho chiamato il tassinaro e me sono andato all’aeroporto. Destinazione Roma, paradiso città. La mia presenza in quel luogo era durata esattamente quattro ore e trentasette minuti. Un gesto doveroso, un atto necessario, un affermazione del mio io affrancato, che mi ha obbligato, durante il rientro, ad infilarmi il pigiama della malinconia. Sono germogliato e successivamente sbocciato in quel paese cristallino e incorrotto. Un luogo in cui i vigili una volta, riuscivano a disciplinare un traffico immaginario. Ora mi era insostenibile guardare gli ebreniaci mimetizzati da imprecisate spore ischio rettali che non possedevano minimamente quello che ci avrebbe potuto associare: il silenzio dell’emozione sospesa. Perché una cosa è inconfutabile, l’uomo deve saper segnare i limiti estesi della simulazione, giusto per rallentare la produzione intimistica allo sdrucciolevole colare della melma rinsecchita.

 

Postato Gioved 05 Aprile 2018 - Ore 14:17 | Commenti (17)


Pensavo che non l'avresti mai indovinato... La mia preferita,cioccolata calda.

Mi chiamo Mr. Klein.

Mi piace ascoltare, mi piace leggere. Qualche volta scrivere, anche se a capire sono solo io. Mi piacciono quelli che combattono, che bruciano di passioni, che danno la vita per i loro ideali.

Io no.  Non concludo mai. Perché sono privo di passioni e di vanità.  Anche se tutti pensano che io sia immodesto e lussurioso. Ma la verità è che i vanitosi, quelli veri, simulano. Perché non possiedono alcuna aspirazione, devono solo discolparsi della loro presenza su questa terra. In fondo, la vanità è mancanza di desiderio.

Mi chiamo Mr. Klein. Ma questo l’ho già detto, forse perché non so cosa dire.

A dieci anni ho visto mio padre andare via di casa, per poi fare ritorno l’anno dopo. Accolto da mia madre come un re.  In quel periodo di tempo intercorso non ho mai sentito la sua mancanza. Nemmeno ora.

Ho provato anche a rivelare un certo dolore.  Ma non quello che ti trascini dentro, parlo di quello reale, che non ha prezzo. A volte ci penso, anche se è difficilissimo. Perché il dolore ti insegue e, per quanto superficialmente privo di significato, non riesci a liberartene.

Ed è per questo motivo, forse, che non ho mai accettato me stesso attraverso le relazioni con le donne. Perché, fondamentalmente, le donne mi sono interessate solo in una certa dimensione. O forse perché volevano cambiarmi, volevano comprendermi, per poi abbandonarmi. Senza presupposti. Donne possedute dalla gelosia, sorrette nell’enorme mansione di accettare loro stesse. Di tonificare l’io perennemente zoppicante, disorientato. Eppure, nel profondo della mia negligenza, sono stato sempre felice quando sono stato, poi, furiosamente lasciato.

Tutto questo fino a quando non incontrato Lei. Che mi ha fatto innamorare. Perdutamente. Staccandomi dallo stordimento del dormiveglia, dalla svogliatezza, dalla noncuranza, dall’ indifferenza passiva per qualunque essere umano. Si perché noi, entità umane, ci innamoriamo. E come se non bastasse, lo realizziamo in situazioni impenetrabili, impensabili, con personalità o individui che fino ad un momento prima svolazzavano astrattamente nel nostro individuale principato del cazzo.

Oggi, mia cara principessa, ti dirò una cosa.  Domani verrò da Te, profumato di me, in questo inverno che non elargisce niente. Suonerò il citofono di casa tua. Anche se ho il cuore basso e non ci arriva. E ti converrà aprirmi, perché ti chiederò scusa, per ieri. Così potrai restare sbottonata, disarmata, arrendevole. Senza dubbi da addentare, incertezze da strappare. Dove tu sarai in me ed io in te. Senza limiti, rigirando la mia vita tra le tue dita. Tutto questo si chiama fede, ed è davanti all’amore.

Sono Klein, solo per i benevoli. Per te sono… lo sai benissimo chi sono.

 

Postato Luned 12 Marzo 2018 - Ore 16:13 | Commenti (34)


5.13

Faccio sempre strani sogni io. Sogni privi di pubblicità.  Sogni che arrestano il veloce istante di tutte le mie soste sotterranee. Ho undici anni, adesso, e mia madre mi stringe per mano.  Muovo la testa alla mia sinistra e c’è anche mio padre. E’ domenica mattina, tratteggiata e scottante. Una domenica come le altre, una domenica che non ricomparirà mai più. Passeggiamo lungo via dei Giubbonari. Vesto con fierezza una polo blue.  Fa caldo ma ho le mani fredde. E sono contento, perché mi sento tranquillo. Come non lo sarò mai più. I miei sono allegri. Non hanno discusso. Mio padre fa i complimenti a mia madre. Dice che le sta bene una camicia rosa con la stampa di piccoli fiori.  Mia madre sorride stupita. Perché qualsiasi lusinga che fuoriesce dalla cavità orale di mio padre è così singolare, da sembrare imbarazzante. Poi improvvisamente, senza ragione, chiedo se moriranno, come i nonni. E loro, senza scomporsi e con matura certezza, mi rispondono che non scompariranno mai. Io ci credo, mentre sopra ponte Fabricio, guardo il Tevere colare tranquillo. Invece mi stavano semplicemente ingannando. Da  quel momento, sono iniziate tutte le mie difficoltà. Il mio fluttuare nello sconclusionato. Le proprietà che interpellano solidità ordinarie. Intanto la luna è sparita. Il sogno è concluso. Eppure, io da quel momento, non mi sono più svegliato. Ancora un attimo 5.13, ancora un attimo. Che arrivo da te.

Postato Marted 06 Marzo 2018 - Ore 15:43 | Commenti (24)


Cosa è che ogni tanto ti tormenta, MrKlein?

Sono andato nel rione Regola, ieri. Dove sono nato. Era un bel pezzo che non ci passavo. Il palazzo non lo dico e sapete il perché. E se non lo sapete sono cazzi vostri. E’ sempre lo stesso, da seicento anni al mondo. Avrei voluto flussarlo con la luce, con le anime morte.

Cinquecento anni di vita e cinquecento anni di morte. Qualche suicidio illegale, qualche stupro templare, e qualche morto ammazzato. Quelli dell’ordine dei servi di maria, un giorno, murarono viva una monaca sconsacrata. La notte usciva, dal sonno profondo, a lanciare per terra piatti e bicchieri. Uno svago scherzoso, dicevano, per un amore mai più posseduto.  E li ho ritrovavi tutte lì, le presenze invisibili. Pronti a mostrarsi tra stanze vetuste, scaloni di marmo e brividi di freddo. Silenziosamente ho risucchiato nell’aria i giorni passati.

Certi proiettili non hanno ore, non hanno tempi, non hanno bersagli. Perché i morti ti bussano sempre, anche se non stai dormendo. E c’è un momento in cui ti domandi se il prossimo, tra quella linea, sarai tu.

Eppure ho avvertito il profumo del calicanto. L’arrivo del sole, ed una mano che mi accarezzava i capelli.

 

Postato Gioved 22 Febbraio 2018 - Ore 15:26 | Commenti (6)


Elementi

 

Ci sono giorni che incominciano quando ormai è buio. Attraversano piogge monsoniche, profetizzandosi, dopo, in sogni sigillati. Ci sono giorni che ti scuotono fino a quando non fa luce, si trainano tagliuzzati, come lamine oscure. E ci sono giorni in cui bisogna allenare la respirazione, per non gridare o strappare cartoncini già scritti.

 

Domani sarà un giorno speciale per te. Minuscole cose accenderanno una fiaccola, capace di soffiare via, sciami violacei e scrosci corvini. Domani ti cercherò, come sempre, come tutti i giorni, annusandoti attraverso le parole. Saremo particelle di un fulmine, frammenti di una strada biancastra. E sentiremo il fruscio continuo del nostro destino. Domani ti sentirai nuda, tra brezze e correnti, distesa in un telo d’arancio, asimmetricamente orlata da baci marini, disciolti.

 

Ti ho fatto un regalo. L’ho scovato in quel bosco, in mezzo alla neve, tra le luci di nebbia nostrana: è un destriero di giada. La dea Tychemi ha detto che porta fortuna. L’ho stretto tra le dita, chiedendole di farti felice. Oggi, però, respira lentamente. Io intanto miscelo le foglie, preparo il mio mate.

 

Postato Marted 13 Febbraio 2018 - Ore 14:18 | Commenti (9)


La mia mano sinistra

In  alto all’albero maestro la vela è ammainata.  Ci sono bottiglie sparse sul deck.  Sono quello che resta del giorno. Chimere dorate, soffiate e sfumate, che si sono inseguite tra vaniloqui, nell’instabilità del nulla. Lo sloot adesso è ormeggiato. Ingerisce il suo nuovo ciclo di vita, tra i consigli da dare e quello da fare. Tutto raccolto nel  mio giubbotto di cerata blu, con i miei braccialetti colorati e le corde che si sciolgono tra le mani.

E poi la luce che atterra. Sulla linea di un tramonto distante, da fermare tra le dita di una mano, per lanciarlla finalmente  lontano in una esistenza a divenire.  Chissà cosa penseremo, quando parleremo di  questi giorni. Quando ci tornerà in mente questo inverno. I miei desideri, la tua bella grafia e tutti gli impercettibili passi che abbiamo fatto senza riflettere, senza apprensioni, senza se.

In mezzo a tutto questo silenzio, in mezzo a questo fruscio, che non sa quello che scrivo, ho scelto di scrivere di te, che poi è parlare di me. Tu che mi sei vicino, in questo inequivocabile istante, tra gli avanzi delle ore, ti nascondo nelle tasche, dividendoti nel mio dovunque, sottraendoti ai condizionali, nei  segmenti che riempiono certe distanze.

Adesso, sei di fronte a me, sdraiata, nella trasparenza della tua cioccolata calda. Forse dovrei smettere di scrivere. Un giorno lo farò.

Postato Luned 29 Gennaio 2018 - Ore 12:30 | Commenti (34)


"Io non vorrei mai essere qualcun altro... "

Lo sai che sono un Angelo? L’Angelo che viene dalla tempesta, pronto a scomporsi ad intermittenza eterna. Lo sai che sono un demone, in attesa del perdono. Un libertino che indugia nel vizio. Uno scorpione senza coda. Un apollo ingobbito. Un cantastorie vestito di stracci e  ricami di seta. Uno che salda i debiti ai debitori, corrispondendo a tutti illusioni soggettive, in percentuali di emotività. Lo sai che omaggio sempre cose pregiate e rastrello doni che non posso accettare? Che sono imperfetto. Senza successo. Disilluso per concedermi a chi vuole afferrarmi, perché non si può. Perché non sono vero. Perché sono una preghiera corrotta, un verso difettoso, un amore inconsistente. Perchè sono un principe e sono un suddito. Sono spada e sono velluto, sono seme ed effetto. Un irrequieto senza se, che attende l’Armageddon. Sono Io. Ma Tu, però, si proprio Tu, stammi vicino, non lasciarmi solo.

Postato Venerd 19 Gennaio 2018 - Ore 16:03 | Commenti (31)


La tana del coniglio

 

E' sera. Sono sulla veranda a fumare i miei sogni. Un uomo e una donna danzano, davanti a me.

L'uomo, ogni tanto, lo vedo al bar. Ordina sempre la stessa cosa. Ieri aveva un bagaglio in mano. Credo che vada spesso in giro per affari, o itinerari già stabiliti.

La donna, la sera, sola nel muto balcone, fa finta di aspettare il suo ritorno, perdendosi in deliri bisbigliati, tra i rimorsi del cosa e le lacrimi di chi. Ci siamo incontrati una volta, per caso, in libreria. Mi ha fissato, come per dire, ti tengo d'occhio, depravato.

L'uomo ritorna sempre con delle rose. Crede che siano i suoi fiori preferiti. Non si avvede mai, che la donna, il mattino dopo, li ha buttati via in un cassonetto.

L'uomo e la donna danzano. E' notte.

Postato Marted 16 Gennaio 2018 - Ore 14:15 | Commenti (25)


divorAmi

Non c’è più carenza di temporali e, questo aumenta la mia silenziosità, trattenendo gli equilibri. Come il chiarore candido di tutte le tinte dell’iride. Ed origine di tutte le mie trasformazioni. Ogni tanto ho degli incubi, mi afferrano all’improvviso squarciandomi di netto la gola. L’ultimo è stato terribile. In compenso però realizzo banchi di sabbia e camere d'aria pressati in vasetti d’inchiostro. Sono diventato più abile ad amministrare la sofferenza fisica. La dottoressa mi ha diminuito la quantità di medicine. Sebbene riuscire a dormire, rimane ancora un po’ difficile. Ma sto incrementando la mia capacità di resistenza fisica. Per le angosce, lo spasimo, quello inconfessato, quello che ulula e freme, quello che mi raschia il cuore, fino ad arrivare in testa, quello non riesco ancora a sedarlo. Anche se provo a viaggiare con i soliti mezzi, tentando di stordirmi e sopprimermi parallelamente. Ho ancora i miei superpoteri per scomporli. Adesso passo a disegnare dei lati che strappano i fiumi dai fiumi. Realizzo venti frantumati che vogliono soffiarti. Genero universi bloccati in bolle di carta, parlo e scrivo per Te, di Te e per Te. E sono giornate fatte di notti e di acqua e di freddo. Giornate che mi rendono felice di esserci ancora, in questo universo, che non ha  più nettare da succhiare.  E’ accaduto tutto in fretta. Tu ed io. Mi sento un po’ fra-stornato. Perché? Forse mi sto innamorando, come una prima volta. Come quando avevo tredici anni. È stata un’annata dura. Un’ annata che va morendo. Un’ annata del cazzo.Un’ annata di un pezzo di me, andato via. Dovrò imparare a lasciarmi, a non lasciarti andare via.Mai. Prima che la luce del tramonto si trasformi in un’eternità passata, dal fra-breve inevitabilmente costruito da oblungo riposo.

Postato Marted 12 Dicembre 2017 - Ore 10:05 | Commenti (18)


Anagliptico

Vorrei scattarti una foto. Dipingerti un quadro. Scriverti parole innervate che, a volte, siano disarmoniche. Vorrei comporre una canzone per te, fabbricarti una corona, rilegarti un libro. Elaborare una poesia. No, una poesia no. Perché non so scriverla. Congiuntamente, però, io e te, potremo mischiare il blu pavone, mano sulla mano, un colore paglierino, oppure l’arancio. L’ocra e il vermiglio, pelle sulla pelle. E poi il bianco e il nero.Comprendere cosa tu ed io siamo. Anche se io lo so, e tu lo sai. Interpretiamo noi, lampi di consapevolezza. Dentro e fuori, con la stessa sfumatura, con la stessa intonazione, con gli stessi respiri, mentre camminiamo in mezzo a folte diramazioni di arbusti che ostruiscono la via.  Ho gli occhi rossi e le gambe stanche, ma non mi fermo, consapevole di non volerti mai perdere. Perché tu mi abbracci. Con la tua essenza, chiusa in ampolle, che ad una da una si romperanno per sciogliersi nell’etere, in un attimo, affinché tu riemerga a nebulizzare il mio universo lontano. L'effetto giroscopico è nella sua fase apicale, tra un paio d’ore sarò di nuovo a casa, a rintracciare la mia stagione. Intanto ti guarderò attraverso il cielo, oltre il burrone. Nell’ascesa sciolta dei cormorani bianchi, nel chiarore zafferano di interminabili asterischi, e di tutti i baci rossi che vorrei darti.

Postato Luned 20 Novembre 2017 - Ore 12:10 | Commenti (15)


Hey amico, hai letto il tuo oroscopo? Sai che giorno è oggi?

Avevamo buttato giù un paio di shottini, io e il mio amico. La destinazione dei nostri deliri era l’Art Cafè. Pioveva silenziosamente. Le strade erano viscide. Un taxi nel curvare si era sbragato a ridosso di un lampione. Nulla di grave. Era uscita una ragazza che aveva una gamba ingessata. Cercava di alzarsi tenendosi con le braccia appoggiate a due stampelle. Sembrava una che conoscevo. Una di milioni di anni fa; quando ero ancora, uno spadaccino al servizio del Re Luigi nonmiricordoilnumeroromano. Mi sono avvicinato. Le ho chiesto se aveva bisogno di aiuto. Mi ha risposto di sì, ringraziandomi. Mentre la tiravo su, l’odore di giovane donna, mi ha riempito le narici e irrorato le vene. Era aggrappata a me. Ho avvertito il suo seno pieno e accogliente premermi dentro la carne.  Avrei potuto tenerla così per tutta la vita, senza trucchi e privo del nulla, come lei. Forse. Le ho chiesto se doveva percorrere tanta strada. Mi ha indicato un portone a pochi passi da noi. L’ho accompagnata fino all’ingresso e mi ha ringraziato. Mi sarebbe piaciuto che mi dicesse di rimanere con lei, lasciando da solo quel coglione del mio amico a ubriacarsi da solo. Vieni su, Mr. Klein, ti porterò con me oltre l’arcobaleno, toccandoti come un tempo. Sono rimasto li, invece, fermo, a sbattere le brocchette per un po’. In piedi al mio passato, arrivato dal nulla; che per me, come al solito, è a una rotazione dal buio cinicamente dilatato. Stai bene Klein?  Sembri strano? Mi ha chiesto l’amico. Sì. Tranquillo. Ho risposto. Starò ancora meglio quando sarò all’Art Cafè. Abbiamo proseguito, in silenzio, sulle strade scivolose.

Postato Marted 14 Novembre 2017 - Ore 11:39 | Commenti (13)


NAND

La sera quando rientro a casa, recupero la mia vita. E’ sempre stato così. Mi piace quel silenzio che arriva giù trascinando a laccio la mia agitata solitudine. Ed è una di quelle sere, mentre sto per iniziare un viaggio interstellare, che un ebete biondo dalla tv si mette a denocciolare le ragioni per cui, secondo la gente comune, vale la pena di vivere. Sono le ragioni delle persone vere, quelle che vivono e respirano l’esistenza di tutti i giorni.  Mi incuriosisco!  Scopro che costoro mettono all’apice dei propri desideri cose come: migliorare il mondo, realizzarsi nel lavoro, contemplare i tramonti, innamorarsi e unirsi per il resto della loro vita ad una persona; la fame nel mondo, l’amicizia, la pasta con il pomodoro. Insomma un inventario caleidoscopico di dolcezza e gratificazioni che la gente ha posto come sublimazione ai propri sogni. A quel punto mentre sto per decollare mi rendo conto, che a me, queste cose non hanno mai suscitato grandi interessi. Eppure io sono normale, reale, vero! Maledizione! Brividi semifreddi mi attraversano la schiena, accompagnati da sofferte nenie transiberiane.  Rifletto e penso che sia colpa del mio vivere  nella fastidiosa, intollerabile convinzione, secondo la quale, l’animo antropico è gonfio di stomachevoli fetori giudiziali. Oppure perché a me bastano poche cose. Tipo tornare a casa infelice e scazzato. Immergermi dentro il perimetro dei cazzi miei, il tutto condito da una aspra e leggera insufficienza. Riscontrare voragini smisurate e sconnesse. Godere delle mie giornate vuote con la serenità di chi si trastulla dentro l’opificio di Dio,  consumandone poi, tutti gli eccessi. Titubare dell’intelletto di quelli che sono valutati intelligenti da tutti. Non guardare PIù gli occhi persi di mio padre e, ultimamente, il piacere di andare a letto con le donne degli altri.

 

Postato Mercoled 25 Ottobre 2017 - Ore 15:20 | Commenti (11)


Qualcosa è cambiato

 

Ci siamo attraversati?

Non lo so. Ma è da tempo che non ci si incontra. Da quando non ci sei.

Certe volte sparire è un grandissimosegno d'affetto.

Forse. Però a me interessa solo sapere che ci sei.

Mi piace ancora leccarti di parole.

Perché?! Che ti succede quando non ci sono?

Succede che non sbadiglio più.

Per i miei baci o i tuoi desideri?

Entrambi. Io, se si può, voglio tutto.

Io voglio tutto. Anche se non si può.

Dimmi una cosà però: hai smesso di correre?

 

Postato Mercoled 04 Ottobre 2017 - Ore 12:22 | Commenti (29)



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